"IL CACCIATORE DI ANORESSICHE" - CASO MARIOLINI

MORIRE IN CELLA

di Salvo Bella

Ho conosciuto Marco Mariolini nel 1997 e non mi sono mai pentito di averlo convinto a venir fuori allo scoperto e pubblicare col suo nome "Il cacciatore di anoressiche", il libro dossier nel quale raccontava il suo incredibile dramma, causa scatenante una depressione di tipo perverso che lo portava a cercare una partner che si potesse quasi smaterializzare o comunque assottigliarsi al punto da fargli sentire lo scheletro.

Di Marco apprezzai da subito il coraggio e anche la grande dirittura morale, anche se mi rendo conto che questa affermazione può sembrare blasfema a fronte di ciò che di irreparabile è poi accaduto. Volle esserci con me nel 1998 a Milano a rispondere, in una affollata conferenza stampa, a tutte le domande; e sorprese l'apparente semplicità con la quale spiegò che era un potenziale mostro, che avrebbe potuto uccidere, e chiedeva che lo fermassero la psichiatria, alla quale si era affidato quasi inutilmente, ma anche la magistratura.

CHIESTO IL DIVIETO

IL CASO E IL LIBRO

DAL LIBRO ALLO SCHERMO

Marco probabilmente non era in grado di intendere e di volere quando uccise. So che lui non condivide questa mia convinzione e peraltro il processo stesso gli diede beffardamente, da questo punto di vista, ragione. Ma mi corre l'obbligo morale - dal quale non riesco ad astenermi - di denunciare all'opinione pubblica che Marco Mariolini è stato ridotto nel carcere di Opera, dove si trova, a uno scheletro. "Era pelle e ossa - mi ha raccontato la madre -, con i denti cadenti, e mi è parso più volte terrorizzato". Alle malattie e alle frequenti crisi depressive si è aggiunta, forse, anche qualche cosa di estremamente deprecabile, tant'è che nel momento in cui la famiglia ha annunciato la visita di uno specialista degli Ospedali Riuniti di Bergamo il detenuto è stato trasferito in fretta all'ospedale di Aversa e vi è rimasto una quarantina di giorni. Ora lo scrittore langue nel carcere di Opera, in infermeria. Come fu allora inascoltato, e nessuno allora lo salvò, come non salvò la vita dell'innocente Monica Calò, ora Marco Mariolini rischia di morire senza ricevere le cure necessarie, che difficilmente possono essere garantite in un'infermeria carceraria. Da anni ormai le sue condizioni di salute sono gravi.

Si strombazza per graziare sanguinari terroristi perché si sono dedicati al giornalismo o alla letteratura e non hanno mai confessato, lasciando chissà chi nel limbo dell'atroce ricatto. Fu inascoltata invece nel 1998 la richiesta di aiuto di Marco perché lo fermassero, ma sarebbe oggi criminale non raccogliere questo richiamo di attenzione sulle sue condizioni di salute, se non altro avuto almeno riguardo al fatto non comune che trent'anni si volle accollare senza ripensamenti dalla Corte d'Assise di Novara, rendendo piena confessione, rivelando di avere premeditato l'omicidio, sostenendo di volere pagare senza alcun beneficio.

Ho letto i nuovi scritti di Marco Mariolini che Gruppo Edicom intende pubblicare. Mi auguro che Marco possa continuare a scrivere i suoi libri onesti e possa soprattutto continuare anche a leggerli senza che sia lasciato morire.

 

I giornali recepirono e lanciarono l'allarme. I carabinieri fecero il loro dovere avvertendo subito la procura della repubblica di Brescia; che non mosse un dito. Più in avanti l'autorità giudiziaria raccolse pure denunce contro Marco Mariolini, presentate dai familiari di una giovane di Domodossola che si riteneva in pericolo; ma continuò a non muoversi. Fin quando, un anno dopo l'uscita del libro che lo annunciava, nel 1999, non commise sul Lago Maggiore il delitto. Solo alla fine di quell'anno, pensate, il magistrato mi fece interrogare per sapere se Marco nel 1997 mi avesse consegnato altre carte oltre quelle pubblicate.

So quanto la vita del cittadino detenuto è difficile né mai auspicherei che possa essere di lusso; ma ci sono anche di quelle situazioni di estrema noncuranza della sofferenza, se non di abuso e sopraffazione, soprattutto nei confronti di chi ha avuto la sventura di commettere un crimine odioso.